Il valore aggiunto delle donne nell’economia e nella società
Più leader donne per uno sviluppo sostenibile
Anna Maria Tarantola
Conosco il lavoro e l’impegno del Rotary ed è quindi particolarmente interessante per me riflettere insieme a voi sui vantaggi economici e sociali connessi ad una maggiore presenza donne nel mondo del lavoro, delle imprese, della politica e delle istituzioni, anche in posizioni apicali.
Oggi è il giorno delle donne. E’ una giornata che si vive con emozione, si parla delle donne, ci sono le mimose e poi…ci si dimentica e le cose vanno più o meno avanti come prima.
Questa sera non voglio fare rivendicazioni ma riflettere con voi su alcuni aspetti rilevanti per il raggiungimento di una piena e reale uguaglianza di genere e perché sia necessaria.
L’empowerment delle donne è un tema su cui è cresciuto l’interesse negli ultimi anni ma ci sono ancora non pochi stereotipi ed aspetti da approfondire soprattutto con riferimento agli effetti negativi che una limitata presenza di donne nelle posizioni apicali e nel mondo del lavoro in genere determina sulla società e sulla economia.
Oggi il tema è ancor più rilevante perché la pandemia ha messo in luce la impellente necessità di avviare una rigenerazione del nostro modello di sviluppo verso un modello più giusto, più equo, più solidale e più sostenibile. Le donne, molti studi lo mostrano, hanno caratteristiche particolarmente idonee a favorire un tale processo verso uno sviluppo economico, sociale e ambientale sostenibile e centrato sulle persone.
Promuovere l’uguaglianza di opportunità e di responsabilità tra donne e uomini è necessario sia per garantire uguali diritti (è una questione di giustizia sociale) sia come precondizione per arricchire il processo di sviluppo e conseguire una crescita maggiore e di migliore qualità.
Nel 1992, l’Agenda 21 della United Nation Conference on Environment and Development prese impegni per rafforzare la posizione delle donne nell’economia e nella società. Sono passati 29 anni e la situazione è la seguente
A. La situazione
Tutti questi dati mostrano che c’è ancora molto da fare per perseguire la piena valorizzazione dei talenti femminili considerate anche che il processo verso l’uguaglianza non avviene automaticamente con lo sviluppo economico, ma richiede lavoro e un impegno costante e duro da parte delle istituzioni, delle imprese e della politica. Ricerche della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale lo hanno rilevato.
Inoltre, il processo non è irreversibile, i traguardi conseguiti possono essere perduti facilmente.
Il conseguimento dell’uguaglianza di opportunità e di condizioni per le donne è vantaggioso o è un costo? Credo che nessuno neghi che si tratti di una cosa giusta ma temo che molti dubitino che sia anche utile.
B. I vantaggi
Cercherò di dimostrare come, invece, la disuguaglianza di genere non solo è ingiusta ma è anche un costo per la società e per le imprese; una perdita del valore aggiunto che le donne possono dare con il contributo personale e differenziato rispetto agli uomini. La diversità di genere – non solo uomini, non solo donne, ma uomini e donne insieme in economia, nella politica, nelle istituzioni – apporta benefici in termini di crescita economica, di produttività delle imprese, di condizioni di vita, di benessere per tutti. Come dicono gli economisti è una cosa giusta e intelligente. La loro presenza è particolarmente necessaria in questa fase storica in cui dobbiamo costruire un mondo nuovo attraverso un processo di rigenerazione.
Vediamo in dettaglio.
– Molti studi (Organizzazione per la cooperazione e per lo sviluppo economico – OCSE, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Banca d’Italia, Censis, Pearson Institute for International Economics di Washington, per citarne alcuni) hanno mostrato che se la partecipazione femminile raggiungesse i livelli di quella maschile in ogni paese, ne conseguirebbe una notevole espansione del prodotto globale. Secondo alcuni studi in Italia il Pil potrebbe aumentare del 7% se si raggiungesse la parità (Banca d’Italia) secondo altri anche il 14%. Il recente rapport OCSE rileva che se il gap di partecipazione delle donne all’economia si dimezzasse il Pil aumenterebbe del 2% nei prossimi 8 anni;
– il reddito delle donne che lavorano contribuisce ad elevare il reddito familiare riducendo il rischio di povertà, (ricordo che in Italia 4,5 milioni di persone sono a rischio povertà) aumenta la massa fiscale e previdenziale e la domanda di beni e di servizi, attiva un circolo virtuoso che genera occupazione e quindi ulteriore crescita economica;
– investire sulle donne ha un effetto positivo sulle nascite (nei paesi con più alto tasso di occupazione femminile le donne fanno più figli) sulla salute e sulla nutrizione, soprattutto dei bambini, sullo sviluppo cognitivo dei figli e quindi sul capitale umano e sociale;
– si minimizzano gli effetti economici negativi del deficit demografico perché le donne che lavorano fanno più figli (es. Francia e azioni attivate in Germania);
– si perseguirebbero migliori politiche ed istituzioni più efficienti perché le donne si sono dimostrate buone amministratrici della cosa pubblica, particolarmente attente ai temi dell’ambiente, salute, infanzia; in India ed in altri paesi in via di sviluppo dove ci sono state donne capo Villaggio per due tornate elettorali si sono osservati sensibili miglioramenti nell’amministrazione della cosa pubblica ed un importante “effetto modello”;
– più donne nelle posizioni di vertice delle aziende, non solo come componenti dei board ma come manager, migliora la redditività e le quotazioni delle stesse (secondo una ricerca del Pearson Institute le imprese con almeno il 30% di donne nel CdA registrano un incremento del 6% dell’utile netto); si riduce la rischiosità perché le donne sono più avverse al rischio, le imprese sono più stabili; i CdA funzionano meglio, cresce l’attenzione al sistema dei controlli, alla sostenibilità e alla resilienza;
– cresce la produttività. Secondo uno studio di Cuberes e Teignier (2013) il divario di genere produrrebbe per l’Italia una perdita di produttività del 15% (sarebbe del 10% in Germania, del 9% in Francia).
– anche la Chiesa trarrebbe vantaggio da una presenza più attiva delle donne. S. Giovanni Paolo II ne ha parlato nella lettera apostolica Mulieris Dignitatum ma vorrei citare una affermazione di Papa Francesco fatta nella conversazione con i gesuiti del Cile il 16/1/18 (La Civiltà Cattolica n. 4024, pag. 317): “La donna deve dare alla Chiesa tutta quella ricchezza che von Balthasar chiamava la dimensione mariana. Senza questa dimensione la Chiesa resta zoppa o deve usare le stampelle, e allora cammina male. E credo che si sia molto da camminare…”.
C. Donne e solidarietà
Nella sua prima omelia 2020 il Santo Padre ha affermato che: “La donna è donatrice e mediatrice di pace e va pienamente associata ai processi decisionali. Perché quando le donne possono trasmettere i loro doni, il mondo si trova più unito e più in pace. Perciò una conquista per la donna è una conquista per l’umanità”.
Al riguardo abbiamo avuto esempi importanti nella gestione della pandemia, i governi gestiti dalle donne hanno mostrato una maggiore capacità di azione e di reazione (Nuova Zelanda, Germania, Taiwan, …) Ricorso poi due esempi di azioni per la pace: la mediazione a Davos di Ursula von der Leyen con Trump sulla questione dei dazi che ha aperto spiragli di dialogo e l’opera di Angela Merkel per la Libia. Entrambe hanno attivato, in modo pragmatico ma risoluto, forme di mediazione per evitare conflitti.
Un effetto che si è poco analizzato è l’impatto che una maggiore leadership femminile può determinare in termini di sviluppo più umano e sostenibile. Sono le caratteristiche femminili (pazienza, minore aggressività, prudenza, intuizione, empatia, disponibilità all’ascolto e al lavoro di squadra, pragmatismo, concretezza, visione lunga) che portano le donne ad essere più sensibili all’ambiente, alla solidarietà, al bene comune. Di fronte all’emergenza climatica, alla crescita delle disuguaglianze determinate dalla globalizzazione, alle paure e alle questioni etiche connesse all’innovazione scientifica e tecnologica – continua, rapida e non governata – le caratteristiche femminili potrebbero essere un antidoto importante.
Nel mondo degli affari, sulla spinta della diffusione della CSR ( Corporate Social Responsibility) e dei fattori ESG (Environmental, Social, Governance) si incomincia a riconoscere la valenza delle caratteristiche femminili per il buon andamento delle imprese.
Alcune agenzie di head hunting cercano uomini con caratteristiche femminili perché più adatte al contesto attuale!!! Sarebbe meglio che cercassero donne.
E’ veramente uno spreco non avvalersi dei talenti e delle caratteristiche femminili, ma per avvalersi di questi vantaggi le imprese si devono “aprire” al femminile e colmare il divario tra competenze ed assunzioni: spesso infatti i datori di lavoro preferiscono ancora assumere un uomo. Bisogna quindi creare una cultura aziendale più inclusiva e a supporto delle donne lavoratrici, ridurre le cooptazioni.
Come mai in presenza di questi vantaggi i divari persistono?
D. Le cause delle disparità
I motivi dei divari ancora esistenti sono molteplici.
I più profondi sono di tipo culturale e per questo difficili da affrontare e sradicare, ma rilevano anche le barriere normative, istituzionali (formali e informali), organizzative e di mercato.
Secondo alcune ricerche della Banca Mondiale le differenze dipendono da che cosa succede all’interno dei nuclei familiari, da come le famiglie interagiscono con le istituzioni, dalla struttura e qualità delle leggi e dei diritti, dalla qualità e quantità dei servizi pubblici disponibili, dall’istruzione, dai mercati e da come tutto ciò interagisce e influisce con e sulle cd. “istituzioni informali” cioè le norme sociali che interiorizziamo sin da bambini e che guidano le nostre scelte e le nostre decisioni su quali siano i ruoli “naturali” di uomini e donne.
L’aspetto culturale è complesso e difficile da aggredire nel breve periodo, tocca modi di pensare e comportamenti radicati, atavici, che alimentano e sono alimentati da pregiudizi e stereotipi.
Sul piano del lavoro è ancora diffusa, soprattutto nelle pmi, l’opinione secondo cui le donne sono poco credibili, poco pronte ad assumere decisioni, emotive, poco resistenti, senza attitudine al comando, non portate agli affari e alla tecnica, poco propense alla competizione, più preparate degli uomini ma meno affidabili. E poi si sente ancora spesso affermare “ma cosa vogliono queste donne? Stiano a casa, é il loro mestiere”. C’è ancora difficoltà ad accettare che una donna possa scegliere di valorizzare fuori casa le sue competenze, trarre soddisfazione da un lavoro ben fatto, avere una giusta remunerazione che le dia indipendenza economica oltre che la possibilità di contribuire al reddito familiare.
Gli stereotipi sono all’origine di un fenomeno spesso non percepito e pertanto difficile da combattere: la cd. “discriminazione implicita“, non voluta ma esistente che porta a scelte sfavorevoli alle donne (es. orchestra, anche rilevazione BI su test di ingresso).
Gli stereotipi escludono le donne e ne alimentano l’autoesclusione. Costituiscono una barriera sottile ma forte tanto da compromettere il perseguimento di una equità reale, che prescinda dal genere, sia orizzontale (pari trattamento delle risorse che possiedono pari capacità) che verticale (uguali opportunità di carriera in funzione delle capacità).
La cultura è difficile da cambiare: il Governo Renzi aveva un’ampia presenza di donne, vorrei però ricordare che i commenti del giorno dopo sulla squadra di governo erano sui curricula per gli uomini, sulla mise per le donne. Le cose sono peggiorate nei governi successive.
Il fattore tempo è un’altro importante ostacolo. I talenti delle donne sono troppo spesso mortificati dalle difficoltà di conciliare famiglia e lavoro.
I cd. work-family conflicts, le situazioni di disagio o di pressione che la donna subisce nel tentativo di conciliare più ruoli (lavoratrice – moglie – madre – figlia) costituiscono dei veri e propri sbarramenti.
Questa situazione di affanno provoca spesso l’uscita dal mercato, perché quando una donna è messa di fronte alla scelta lavoro / famiglia sceglie quasi sempre la famiglia e questo, come ho cercato di argomentare, è un danno per il Paese oltre che per la famiglia e per la donna stessa.
I modelli organizzativi delle imprese sono pure un fattore frenante (es. orario delle riunioni…) così come la carenza di servizi efficienti (ad es. asili nido, trasporti, forme di sostegno).
Infine, ma non ultimo, la maternità è certamente la principale causa (volontaria o imposta) di uscita della donna dal mondo del lavoro e/o di forte rallentamento della crescita professionale. Quando una donna è messa di fronte alla scelta tra famiglia e lavoro ancora oggi nella maggioranza dei casi preferisce la famiglia. Il fatto è che una società giusta ed intelligente non dovrebbe imporre alle donne una simile scelta così come non la impone agli uomini.
E. Le possibili azioni da attivare
Poiché le cause dei divari sono molteplici anche le azioni devono essere molteplici. Ma, come ho sostenuto in altre occasioni, più che singole azioni, magari scoordinate tra di loro, sarebbe opportune un unico ben definito piano di azione a livello nazionale che veda coinvolti, collaborando e operando insieme, la politica, il Governo, le istituzioni, le imprese, le famiglie, la scuola e i media. Non singole azioni, per quanto utili possano essere, ma un programma unitario, incisivo e condiviso, ben declinato in termini di cose da fare, responsabilità, ruoli, tempi di realizzazione e controlli.
Ognuno degli attori coinvolti ha molte cose da fare, in coordinamento con gli altri.
Le imprese possono fare molto: innanzi tutto operare, è questo è soprattutto compito dei capi, per la diffusione di una cultura aziendale inclusiva, combattere gli stereotipi, che purtroppo persistono (la discriminazione implicita è terribile), colmare il divario tra competenze ed assunzioni: spesso infatti i datori di lavoro preferiscono ancora assumere un uomo, cambiare i loro modelli organizzativi che sono spesso un fattore frenante, del resto il mondo moderno lo richiede, rendere più flessibili i luoghi e i tempi di lavoro (smart working, part-time, telelavoro, banca delle ore ecc.) , programmare meglio l’orario delle riunioni, adottare una policy di genere ( cfr. Lavoro di Fuori Quota)
– attivare servizi efficienti (es. asili nido), la maternità non è un costo ma un investimento, e aiutare le donne che rientrano dalla maternità ad aggiornarsi tempestivamente con opportuni corsi di formazione…Tra l’altro avere una policy di genere serve ai fini della Relazione sulle attività non finanziarie per dimostrare l’attenzione alla sostenibilità, ai criteri ESG e quindi ad ottenere una migliore valutazione dei mercati che sono sempre più attenti a tali aspetti.
Le leggi e i contratti devono essere declinati avendo presente l’impatto sul ruolo e le possibilità di lavoro delle donne. Per uno sforzo concreto verso la parità è necessario concentrarsi sulle differenze che non spariscono con lo sviluppo. Ad es. sulla rappresentanza delle donne negli organismi politici (Parlamento, Governo, Enti locali) e in ruoli di responsabilità, sull’accesso delle donne al capitale, sulla forza contrattuale delle donne nel mondo del lavoro ma anche nel nucleo familiare.
Secondo la Banca Mondiale sono molto utili ed efficaci gli interventi nel mondo del lavoro e in quello della politica volti ad eliminare i cd. “piccoli multipli”: il supporto che la donna riceve o non riceve in termini di assistenza e cura dei bambini, il Sistema dei trasporti pubblici, l’ambiente, i cambiamenti delle norme sociali. Poiché la legislazione non è mai neutrale, bisognerebbe sempre valutare l’impatto di genere. Purtroppo nel nostro paese il Sistema di welfare riflette ancora lo squilibrio di genere nella ripartizione delle responsabilità familiari.
I Governi dovrebbero agevolare l’adozione di azioni positive di sostegno sia a livello nazionale che aziendale. Ad es. si può agevolare normativamente l’adozione di forme flessibilità dei luoghi e dei tempi di lavoro (smart working, part-time, telelavoro, banca delle ore ecc.) , aumentare i servizi offerti (es. asili nido, secondo dati ISTAT risalenti al 2019 purtroppo meno di un bambino su quattro ha la possibilità di frequentare un asilo nido pubblico), attivare progetti formativi ad hoc per le donne, prevedere forme di sostegno finanziario e una normativa fiscale favorevole, incentivare le imprese ad adottare policy di genere. La previsione di congedi parentali per i padri di maggiore durata rispetto a quello ora riconosciuti di qualche giorno sarebbe molto utile per il perseguimento della parità perché attenuerebbe l’effetto discriminante della maternità. Si potrebbero anche prevedere forme di sostegno formativo per i genitori. La condivisione del progetto genitoriale e di vita in generale è fondamentale.
Nell’ambito di un piano unitario di azione verso una concreta parità un ruolo fondamentale dovrebbe competere al mondo educativo, dove si formano i cittadini di domani. Una scuola che educhi al rispetto di tutti, anche delle donne, del loro ruolo e della loro dignità, che trasmetta il messaggio che l’evoluzione dell’essere umano è il portato dell’azione congiunta di donne e uomini. Le Università dovrebbero “istituzionalizzare” l’attenzione alla cultura di genere. I curricula scolastici dovrebbero valorizzare il rilevante ruolo svolto dalle donne nella storia, nella società, nel mondo dell’arte e delle scienze. Bisogna poi guidare le giovani a scegliere le materie STEM con un’opera capillare di informazione, sensibilizzazione e supporto. Non è vero che le donne non sono portate alle scienze, alla matematica e alla tecnologia, abbiamo ottimi esempi di donne scienziate, una per tutte Fabiola Gianotti.
E i media? Possono fare molto nel bene e nel male. Negli ultimi vent’anni hanno fornito una rappresentazione distorta delle donne, privilegiando il lato estetico. In sostanza il messaggio che è stato trasmesso si può riassumere così: se vuoi essere qualcuno devi essere bella, le competenze contano poco. Dobbiamo cambiare completamente questa linea editoriale, linea che alimenta stereotipi e la concezione della donna oggetto.
Infine, ma non ultimo, credo sia molto utile condividere le esperienze delle donne che ce l’hanno fatta e diffondere informazioni su modelli femminili positivi. Aiutare le giovani donne a credere in se stesse (spesso sono molto timorose, non si propongono), a investire nelle proprie capacità e a sviluppare le proprie potenzialità, senza però replicare i modelli di comportamento maschili. Infatti è dall’insieme delle diversità che si crea efficienza, non dall’omologazione, né dalla prevaricazione di un modello sull’altro.
Naturalmente Stato e imprese dovrebbero sostenere dei costi ma si tratta di investimenti ad alta resa con rilevanti impatti positivi:
– per lo Stato più crescita di buona qualità, crescita delle nascite e più coesione sociale,
– per le imprese conservazione di talenti, diminuzione dell’assenteismo, clima più sereno, crescita della produttività, della redditività, delle stesse quotazioni.
F. Note Conclusive
Come ho già detto non sto sostenendo che le donne sono meglio degli uomini ma che sono “la metà del mondo” con potenzialità enormi che vanno valorizzate perché utili alla società. E’ la diversità che comporta vantaggi, avvalersi delle caratteristiche maschili e femminili insieme porta a migliori risultati in tutti i campi.
L’uguaglianza di genere è un diritto, è un fattore di giustizia ed è la cosa giusta e più intelligente da fare. Come ho gia detto i vantaggi sono numerosi:
– favorisce l’equità,
– produce crescita economica ed occupazione e migliora lo sviluppo sociale,
– migliora la situazione delle famiglie e le prospettive future dei figli,
– comporta benefici alle imprese, alle istituzioni, alla politica, allo Stato in generale.
Il messaggio che vorrei lasciare è che tutti dobbiamo credere nella necessità di un sostanziale perseguimento dell’equilibrio di genere e portarlo fino in fondo con una azione incisiva e continua, non sporadica. Azione che non deve perseguire una omologazione di modelli ma la parità di opportunità e di responsabilità nella diversità.
Le donne hanno livelli di istruzione elevate – si laureano in minor tempo e con migliori valutazioni rispetto agli uomini – e possiedono caratteristiche, competenze e abilità che sono cruciali nel mondo del lavoro, dell’economia e della società tutta e che sono di particolare utilità nel tempo della pandemia.
Oggi abbiamo una grande occasione, la Next Generation EU che tra gli obiettivi, insieme alla transizione verde e digitale, prevede “l’attenuazione dell’impatto sociale ed economico della crisi, in particolare sulle donne.” I fondi ci sono, vanno impegnati entro il 2023 e spesi entro il 2026.
E’ un’occasione che non possiamo perdere, per il bene di tutti.
Le donne sono una risorsa, utilizziamola. Se vogliamo crescere dobbiamo aprire i cancelli ai più meritevoli e donne meritevoli ce ne sono molte.
Dobbiamo costruire una società in cui tutti possano concorrere per la migliore posizione e in cui il capitale umano di una donna non valga di meno di quello di un uomo.